Guardo di fronte l’impavido mare.
Il mare non invecchia.
Il mare affoga i numeri.
Non si esaurisce, non ha
durata.
Turbulento, traditore, avvelenato.
Divorando naufragi e rifiuti.
E di subito, calmo.
Implaccabile, lapidario, insormontabile;
da le spalle al giudizio, non fa sbagli.
Sono vecchiume patetico, insabbiato,
in un film di Visconti.
Il romanzo fu scritto da Thomas Mann.
M’interpreta Dick Bogarde.
Voglio dissimulare
che sto crollando a pezzi.
Mi umidisce il folgore insolente
di un pubere bagnato
dal sole.
Inseguo i suoi passi,
trascinandomi.
Questa tintura, furiosamente nera,
mi lambisce la fronte.
Si spande e si biforca
in molteplice e anemiche serpenti.
Avide, auscultano il mio collo,
il collo del mio impeccabile abito bianco
fuori luogo.
Sono il segno di una dicadenza strepitosa.
Sono linee d’inchiostro cinese.
Transitano le maniche del mio abito,
tingono la mia faccia di ovvietà.
Vorrei aver impedito l’immondizia.
Vorrei che mi portasse il mare.